Itinerari dal mondo

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MILANO E MANZONI. LA CITTÀ NELLE PAROLE DEL SUO ILLUSTRE FIGLIO

Un rapporto intenso, mai interrotto, lega Alessandro Manzoni alla sua città natale, quella Milano che si affaccia ne I promessi sposi e in tutta l’opera del grande scrittore.

di Fabio Massimo Penna

Milano e Alessandro Manzoni sono una cosa sola tanto che gli abitanti del capoluogo lombardo definiscono affettuosamente l’autore de I promessi sposi ‘Don Lisander’ (Alessandro in dialetto milanese). In effetti lo scrittore nasce e muore a Milano e vi trascorre gran parte della sua esistenza. Qui pubblica gli Inni sacri, lavora all’Adelchi, fa svolgere alcune vicende de I promessi sposi, si immerge negli ambienti intellettuali milanesi…insomma il suo legame con la città è forte e non conosce crisi di alcun tipo. Al centro di piazza San Fedele si trova la statua dello scrittore, posta proprio di fronte alla chiesa di San Fedele che Manzoni era solito frequentare per raccogliersi in preghiera. L’abitazione del centro cittadino dove ha trascorso gran parte della sua vita è Casa Manzoni, che ospita il Centro Nazionale Studi Manzoniani. E poi nel suo capolavoro: “Renzo, salito per un di que’ valichi sul terreno più elevato, vide quella gran macchina del duomo sola sul piano, come se, non di mezzo a una città, ma sorgesse in un deserto; e si fermò su due piedi, dimenticando tutti i suoi guai, a contemplare da lontano quell’ottava meraviglia, di cui aveva tanto sentito parlare sin da bambino” (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Le Monnier, 1971). Nell’undicesimo capitolo de I promessi sposi Renzo rimane incantato ad ammirare da lontano il Duomo, luogo mitico che gli è stato descritto sin da quando era bambino. Un atto di amore dell’autore nei confronti della sua città natia. Mentre Giacomo Leopardi ha un rapporto contrastato con la sua Recanati, considerata il “natio borgo selvaggio”, per Manzoni Milano è, invece, il centro propulsore dove si raccolgono e  da cui si irraggiano le sue energie fisiche e spirituali. 

Rapporto particolare anche quello di Manzoni con il teatro. Paradossalmente a teatro veniva rappresentato di più il romanzo de I promessi sposi, nei vari adattamenti per il palcoscenico, che le due tragedie Il conte di Carmagnola e l’Adelchi. Ma per la teoria teatrale è fondamentale la prefazione a Il conte di Carmagnola in cui lo scrittore milanese tratta diffusamente delle tre unità aristoteliche, considerandole poco adatte al dramma moderno. Il conte di carmagnola è una tragedia in cinque atti che narra le vicende del condottiero quattrocentesco Francesco Bussone, che si fa onore in battaglia per la Repubblica Veneta prima di venir accusato di tradimento dai governanti veneziani e, condannato a morte, venir giustiziato al patibolo. L’Adelchi racconta lo scontro tra Desiderio, re dei Longobardi e Carlo, re dei Franchi, chiamato dal Papa a richiedere ai longobardi le terre tolte alla Chiesa dagli invasori. Al rifiuto di rendere i territori occupati si scatena la guerra. Adelchi, figlio di Desiderio, inizialmente favorevole a una soluzione diplomatica della disputa, è costretto a combattere con i pochi uomini che gli sono fedeli. Piuttosto che subire il disonore di arrendersi continua a battersi condannandosi a morte certa.

La visione di Manzoni del Cattolicesimo è quella di chi vede nella Chiesa la sola istituzione capace di raggiungere gli ideali di giustizia, fratellanza e libertà invocati dalle classi umili e dal popolo. Con questo spirito lo scrittore milanese compone gli Inni sacri. Dei dodici previsti ne scrive solo cinque: La Risurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste. Benché disuguali nella loro qualità poetica e stilistica gli Inni sacri mostrano l’intento di accordare il cristianesimo con le istanze progressiste dell’epoca: “Il De Sanctis osservò che in essi c’era il secolo XVIII ‘battezzato’, e cioè i principi di libertà, uguaglianza e fraternità, propri della rivoluzione francese, visti in luce cristiana; ma giustamente un critico recente, il Sansone, ha precisato che, per il Manzoni, non si trattò soltanto di rivestire questi ideali d’una veste religiosa. Bensì di ritrovare nel cristianesimo ‘il principio di ogni ideale’ e perciò anche di quelli proclamati dalla Rivoluzione”  (Mario Pazzaglia, Scrittori e critici della letteratura italiana-Ottocento e Novecento, Zanichelli editore, Bologna).

Due giovani del popolo innamorati calati nella Lombardia del Seicento, un’epoca sconvolta dalla carestia e dalla peste. Nato sul solco del romanzo storico I promessi sposi ritrae una vicenda lontana nel tempo nella quale si possono, però, leggere in filigrana riferimenti alla Lombardia contemporanea allo scrittore milanese. Il romanzo è anche una celebrazione degli umili, dei popolani attraverso le figure dei protagonisti dall’operoso e generoso Renzo alla mite e devota Lucia. La Chiesa offre alla creatività manzoniana caratteri indimenticabili: dalla divertente e ridicola figura del pavido Don Abbondio, tutto preso da quel suo sentirsi “un vaso di coccio tra vasi di ferro”, al controverso personaggio della Monaca di Monza, impasto di colpe e sofferenze, al coraggioso e moralmente retto Fra’ Cristoforo. Il male è rappresentato dal signore locale Don Rodrigo, prepotente e arrogante, pervicacemente attaccato ai suoi privilegi di casta, capace di calpestare qualsiasi traccia di carità cristiana, al terribile e tragico Innominato mentre sfiora il ridicolo l’altezzosa figura dell’Azzeccagarbugli, avvocato dall’eloquio fumoso e oscuro che dichiara a chiare lettere a Renzo il suo modo d’intendere la professione: “All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle.” La drammatica vicende dei due innamorati, il cui matrimonio viene fieramente osteggiato per un capriccio del prepotente del luogo, viene illuminata dagli squarci che mostrano l’intervento della Divina Provvidenza che si adopera sempre per aiutare chi soffre, che abbassa il potente e risolleva l’oppresso.

Il Manzoni poeta è ricordato soprattutto per due famose liriche. In Marzo 1821, l’autore invoca la liberazione dell’Italia dall’oppressione austriaca nella speranza di un intervento di Carlo Alberto in aiuto dei moti carbonari. Un posto a parte nella produzione letteraria di Manzoni merita la poesia Il Cinque Maggio, scritta di getto dopo aver appreso la comunicazione della scomparsa di Napoleone. Il generale francese aveva abbracciato la fede cristiana prima di morire e questo fatto aveva colpito l’autore de I promessi sposi il quale ripercorre il cammino esistenziale di un uomo che aveva avuto il destino dell’Europa nelle sue mani. Non vi è maniera migliore di chiudere questo breve excursus nell’universo manzoniano con le parole del poeta: “Ei fu. Siccome immobile,/dato il mortal sospiro,/stette la spoglia immemore/orba di tanto spiro,/ così percossa, attonita/ la terra al nunzio sta,/muta pensando all’ultima/ora dell’uom fatale”.

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