Itinerari dal mondo

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FERRARA. LA CITTÀ ESTENSE E IL CINEMA CON I FILM DI ANTONIONI E VANCINI

Ferrara, con Michelangelo Antonioni e Florestano Vancini, contribuisce allo sviluppo della settima arte in Italia.

di Fabio Massimo Penna

Dice il direttore di una agenzia investigativa privata a un suo detective che sta indagando su di un omicidio: “Morale, devi andare a Ferrara. La ragazza ha fatto il liceo, comincia da lì.” Il dialogo appartiene al film Cronaca di un amore e anche per ripercorrere la carriera del grande regista Michelangelo Antonioni (Cronaca di un amore è il suo primo lungometraggio) bisogna partire da Ferrara, dove è nato nel 1912. Nella città estense il giovane Antonioni sviluppa l’amore per la musica, il disegno, il teatro e frequenta un circolo letterario di cui fa parte anche Giorgio Bassani, autore de Il giardino dei Finzi- Contini. I due scrivono insieme una commedia. A Bologna il regista de L’avventura frequenta l’università laureandosi in Economia e Commercio. A Ferrara, prima del trasferimento a Roma, Antonioni collabora con il giornale cittadino Il corriere padano scrivendo di cinema. Alla sua terra il regista dedica un omaggio nel documentario Gente del Po, in cui rivolge la propria attenzione alla situazione morale e psicologica di chi vive sul grande fiume a cavallo tra la riva emiliana e quella veneta. Il Po, con i territori sui quali si affaccia, segna il percorso geografico e spirituale del disperato operaio protagonista de Il grido, simboleggiando anche l’inarrestabile corrente che rompe tutti gli argini e spinge l’uomo al suicidio.

Tornando a Cronaca di un amore il primo lungometraggio stabilisce quella che è la cifra stilistica che caratterizza il cinema di Antonioni: l’impiego del piano sequenza. Come spiegano Karel Reisz e Gavin Millar il piano sequenza è “una ripresa lunga, e solitamente piuttosto complessa, che prevede numerosi movimenti di macchina e che permette di riprendere un’intera scena senza stacchi” (Karel Resiz – Gavin Millar, La tecnica del montaggio cinematografico, SugarCo edizioni, Milano). Nella sequenza dei due amanti all’idroscalo la macchina da presa segue senza staccare mai i due personaggi: “l’intera sequenza è costruita in una sola inquadratura lunga centoventinove metri” (Cesare Biarese-Aldo Tassone, I film di Michelangelo Antonioni, Gremese editore, Roma, 1985). Dall’iniziale Ferrara la geografia antonioniana si sposta (Le amiche, ispirato a Tra donne sole di Cesare Pavese si svolge a Torino) in altri luoghi dello stivale prima di approdare all’estero, con la Londra di Blow up. Da Cronaca di un amore a La signora senza camelie passando per Le amiche e Il grido arriviamo alla tetralogia dell’incomunicabilità (L’avventura, La notte, L’eclisse, Il deserto rosso) che costituisce il nucleo fondamentale dell’opera del regista ferrarese. Qui l’indagine sui sentimenti scende a scandagliare profondità interiori alle quali il cinema non era mai giunto prima di allora. Il vuoto spirituale nel quale navigano i protagonisti borghesi di queste pellicole è reso perfettamente dal personaggio di Claudia ne L’avventura. La sua cara amica Anna è sparita, potrebbe essere morta, e in lei all’iniziale preoccupazione per la sorte della donna si sostituisce piano piano un sentimento di amore per l’amante di Anna, Sandro. Alla fine in lei subentra il timore che l’amica possa essere ritrovata, fatto che metterebbe a rischio la sua relazione con Sandro. Consapevole dell’instabilità, della mutevolezza dei propri sentimenti Claudia si domanda: “possibile che basti tanto poco a cambiare, a dimenticare? Ѐ triste da morire”. Dopo Il deserto rosso Antonioni affronta la tematica dell’impossibilità di afferrare la realtà, della incapacità dell’uomo di andare oltre le apparenze: “La ‘realtà prima’ (quella che risulta dagli oggetti che, al loro apparire ‘dicono ciò che devono dire ‘) non basta più: importa che si senta l’esigenza di rivelare -sottolinea Giacomo Debenedetti, che sull’argomento ha scritto pagine fondamentali- quella realtà seconda la quale non solo è il tema del nuovo romanzo, ma anche e per l’appunto del nuovo cinema” (Guido Aristarco, L’utopia cinematografica, Sellerio editore, Palermo, 1984). Il fotografo protagonista di Blow up crede di aver, grazie alla sua macchina fotografica, ripreso la scena di un omicidio ma la realtà cambia, gli sfugge completamente. Vede un cadavere in un parco ma quando vi torna la seconda volta non lo trova più. Alla fine comprende che per lui arrivare a conoscere la verità è impossibile e si arrende alla realtà prima, la accetta per quella che è e smette di cercare di capire. Il protagonista di Professione reporter intravede una verità, la ribellione di alcuni gruppi armati contro un dittatore africano, vorrebbe incidere nella realtà, entrare in gioco sostenendo la causa dei rivoltosi ma anche lui rimane bloccato, impossibilitato a diventare attore del mondo reale che lo circonda. In Zabriskie point la rivolta contro la società borghese, la gretta società dei consumi, si risolve nella fantasia della protagonista Daria che vede nella sua mente quel mondo esplodere, disintegrarsi. Con Identificazione di una donna Antonioni torna, infine, al tema dell’instabilità dei sentimenti e dell’impossibilità di creare relazioni autentiche tra gli esseri umani.

Altro ferrarese che ha avuto una carriera importante nella settima arte è Florestano Vancini. Anche lui come Antonioni comincia da documentarista e dedica alla terra emiliana i suoi primi lavori (Delta padano, Uomini soli). Il suo primo lungometraggio è ambientato a Ferrara: si tratta di La lunga notte del ’43, pellicola tratta dal racconto presente nelle Cinque storie ferraresi di Giorgio Bassani. In una città estense cupa, immersa nei rigori dell’inverno, Vancini racconta i fatti della notte del dicembre 1943 in cui alcuni repubblichini fascisti arrivano in città per vendicare l’assassinio di un segretario federale e uccidono undici persone. Un invalido che ha assistito alla feroce fucilazione e potrebbe testimoniare contro il responsabile della strage decide di non parlare. Dopo la letteratura Vancini volge il suo sguardo alla cronaca e in particolare alle vicende di tre ragazzi che dopo aver combattuto la resistenza da opposte fazione (due con i fascisti e uno con i partigiani) formano una banda che terrorizza l’Emilia del dopoguerra. La pellicola La banda Casaroli mostra un notevole impegno civile e raffigura il momento di disorientamento della gioventù italiana dopo la seconda guerra mondiale. In Le stagioni del nostro amore la crisi morale e politica della sinistra italiana viene narrata attraverso le vicende di un giornalista di sinistra che, preso da inquietudine esistenziale, abbandona la moglie e visita i luoghi dove ha vissuto la propria gioventù. Vancini affronta il passato del bel paese raccontando un episodio poco conosciuto del Risorgimento con Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato. Il regista ferrarese guarda la storia attraverso gli occhi degli oppressi e delle classi subalterne ispirandosi a una novella di Giovanni Verga. Con Il delitto Matteotti Vancini affronta gli anni della dittatura fascista, ripercorrendo il brutale assassinio del deputato socialista che si rivelò essere un episodio cruciale nella storia italiana.

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