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ROMA. LA LUNGA VICENDA DELLA FABBRICA DI SAN PIETRO

La Basilica di San Pietro vede la luce con interventi di tanti artisti, da Bramante a Raffaello da Antonio da  Sangallo a Michelangelo, e disaccordi tra progettisti e committenti.

di Fabio Massimo Penna

Nel Quattrocento in Italia assume, in campo artistico e architettonico, un ruolo fondamentale a livello teorico la questione della pianta centrale. Come modelli di riferimento vengono assunti il Pantheon e alcune costruzioni paleocristiane come la chiesa romana di Santo Stefano Rotondo. Una volta escluso lo sviluppo longitudinale degli edifici ecclesiastici la teoria prevedeva l’adozione della figura del cerchio ritenuta la forma ideale: “Al cerchio Marsilio Ficino affidava addirittura la presentazione analogica di Dio, così come la cupola, che conclude l’edificio a pianta centrale è assimilata al cielo secondo un’antichissima simbologia religiosa” (Pierluigi De Vecchi-Elda Cerchiari, Arte nel tempo, Gruppo editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas s.p.a. Milano, 1991-1992).  Il cerchio dunque può simboleggiare il cielo, il suo immutabile movimento circolare e la divinità. A porre le basi teoriche di questa ricerca artistica è Leon Battista Alberti nel suo trattato De Re Aedificatoria che definisce quella centrale la pianta ideale per la chiesa-tempio. Gli studi sulla pianta centrale appassionano Donato Bramante che porta a perfezione tale modello architettonico nel suo Tempietto di San Pietro in Montorio. L’edificio di dimensioni ridotte, costruito nel punto in cui si pensava fosse stato crocifisso San Pietro, con la sua pianta centrale e la forma cilindrica diventa per l’architetto di Monte Asdruvaldo la base di partenza per il progetto della nuova basilica di San Pietro. Papa Giulio II aveva maturato la convinzione che si dovesse ricostruire l’antica Basilica di San Pietro e nel 1506 decise di demolire la oramai superata vecchia basilica ed edificarne una nuova. Incaricato di sovrintendere i lavori per la nuova cattedrale è, appunto, Bramante.

Nella realtà l’edificazione della nuova basilica di San Pietro si trasforma in una vicenda lunga e tormentata. L’idea del Bramante di adottare una croce greca sulla quale impostare una imponente cupola centrale viene contrastata dalle autorità ecclesiastiche. I massimi rappresentanti della Chiesa sono restii ad abbandonare la pianta a croce latina perché questa consente di allineare in maniera ordinata i fedeli di fronte all’officiante. La pianta longitudinale, sperimentata da una lunga tradizione edificatoria, sembra agli ecclesiastici offrire garanzie di una migliore funzionalità rispetto alla croce latina. L’architetto marchigiano non ha vita facile e “i lavori, iniziati il 18 aprile 1506, procedono lentamente sotto la direzione del Bramante fino al 1514 ma in seguito il progetto subisce radicali trasformazioni e viene riproposto l’impianto basilicale longitudinale” (Pierluigi De Vecchi-Elda Cerchiari, op. cit.). Alla morte di Bramante la direzione dei lavori viene affidata a Raffaello Sanzio il quale, di fronte alle pressanti richieste dei committenti, ritorna alla tradizionale pianta a croce latina. Il 1520 vede il decesso del “Divin pittore” e la sovrintendenza della fabbrica di San Pietro passa ad Antonio da Sangallo il giovane che cerca di realizzare una soluzione di compromesso tra i due precedenti progetti tornando sì alla pianta centrale bramantesca ma aggiungendovi un avancorpo che l’avvicina alla struttura longitudinale. Si tratta di un’idea poco funzionale e confusa che non convince le autorità ecclesiastiche.

Per risolvere definitivamente la questione della basilica di San Pietro viene chiamato a intervenire Michelangelo Buonarroti. L’autore degli affreschi della Cappella Sistina ritorna senza esitazioni alla soluzione bramantesca, l’unica accettabile secondo le sue stesse parole: “Chiunque si è discostato da detto ordine di Bramante, come ha fatto il Sangallo, si è discostato dalla verità” (in Pietro Adorno-Adriana Mastrangelo, Dell’arte e degli artisti, D’Anna casa editrice, Firenze, 2002). L’ostinazione della Curia finisce, però, con il rovinare anche l’intuizione michelangiolesca. Sarà, infatti, chiamato Carlo Maderno a ritoccare il progetto del Buonarroti con l’aggiunta di un avancorpo che, allontanando la cupola dal centro di Piazza San Pietro, ne sminuisce l’effetto di grandiosità. La lunga e tormentata storia della fabbrica di San Pietro vede la fine con gli ultimi interventi di Gian Lorenzo Bernini che sistema la piazza e realizza all’interno della Basilica il baldacchino e la cattedra in gloria.

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