Itinerari dal mondo

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FIRENZE. LA GRANDE STAGIONE DEL MANIERISMO

Dopo la rivoluzione rinascimentale Firenze è protagonista del fiorire della grande arte manierista.

di Fabio Massimo Penna

Dopo il periodo rinascimentale Firenze conosce un altro momento di grande valore artistico con il manierismo. L’accezione data al termine è inizialmente negativa poiché sottolinea come, dopo aver raggiunto il vertice con Raffaello e Michelangelo, l’arte non poteva che affrontare un periodo di decadenza e ridursi a vuota “maniera”. In realtà la nuova concezione artistica inseriva nella precisa rappresentazione della realtà elementi eccentrici e bizzarri, facendo della licenza un momento costitutivo del fare artistico. Centrale diventa l’impiego della “figura serpentinata” che allunga innaturalmente le figure dipinte e scolpite, definite da contorni a esse che richiamano la forma della fiamma che si alza nell’aria. Sotto l’egida della maniera operano a Firenze geni artistici di prima grandezza. Andrea Del Sarto, ad esempio, definito da Giorgio Vasari pittore senza errori, forma nella sua bottega due giganti del Cinquecento toscano quali Pontormo e Rosso Fiorentino mentre in scultura si impongono figure di grandezza assoluta quali Benvenuto Cellini e Giambologna. Lo stesso Pontormo aveva rapporti di lavoro e amicizia con un altro genio quale Bronzino. Insomma nel Cinquecento, prima dell’eclissi avvenuta in epoca barocca, la città gigliata continua a essere il centro artistico d’Italia.

Attento studioso di Leonardo, Michelangelo e Raffaello, Andrea Del Sarto avrebbe avuto una carriera ancora più luminosa se, come afferma sempre il Vasari, “una certa timidità d’animo” non lo avesse bloccato nei momenti decisivi. Quando Francesco I Io chiama in Francia il carattere dell’artista fa si che egli non riesca a introdursi a corte e sprechi la grande occasione. Le opere rimaste, però, testimoniano inequivocabilmente la sua grandezza, a partire dalla famosa Madonna delle arpie degli Uffizi che dietro un’apparente armonia e perfezione formale rinvia nelle pose instabili dovute all’irrequietezza dei tempi. Il significato simbolico degli strani esseri nella base sulla quale poggia la Vergine (le “arpie”) è stato molto dibattuto anche se sembra che rinviino alla fine del mondo profetizzata nell’Apocalisse di Giovanni. Indimenticabili anche le figure immerse in una sorta di leonardesco sfumato della Madonna con il Bambino, Santa Elisabetta e San Giovannino della Galleria Palatina. Dalla sua bottega escono Jacopo Pontormo e Rosso Fiorentino.

Personalità inquieta e solitaria quella di Pontormo al punto che, sostiene Vasari, sembra avesse equipaggiato il suo studio al secondo piano dell’abitazione di una scala di legno retrattile in modo da potersi isolare ed evitare visite non gradite. Le sue opere, poi, sono quanto di più lontano si possa immaginare da un’arte armoniosa ed equilibrata. Le inquietudini della prima parte del Cinquecento appaiono evidenti nella sua Deposizione per la Cappella Capponi nella chiesa di Santa Felicita, nella quale l’affollarsi delle figure copre completamente il paesaggio dello sfondo rendendo l’ambientazione incerta, ambigua. Inoltre le due figure in primo piano che sorreggono il corpo di Cristo sembrano sfidare le leggi di gravità, essendo raffigurate appoggiate sulle punte dei piedi nonostante il peso che debbono portare. I colori chiari e sfumati, infine, contribuiscono all’atmosfera irreale dell’opera. Poche anche le notazioni ambientali della Visitazione della Pieve di San Michele a Carmignano (Firenze) con le quattro figure femminili in primo piano che occupano quasi tutto lo spazio della tavola. La tormentata personalità di Rosso Fiorentino, invece, si esprime essenzialmente lontano dalla città gigliata lasciando il suo capolavoro assoluto a Volterra con la Deposizione anch’essa priva di paesaggio con una fitta intelaiatura di linee verticali formata dalla croce e dalle tre scale ad essa appoggiate e siglata da un livido blu cobalto. L’artista si spostò molto e sappiamo che dal 1530 si trovava in Francia dove trascorse gli ultimi anni di vita.

Il visitatore che si trova in Piazza della Signoria non può non venir colpito da due sculture collocate nella Loggia dei Lanzi, il Perseo bronzeo di Benvenuto Cellini e il Ratto della Sabina di Giambologna. La statua di Giambologna, nel movimento dei tre personaggi attorcigliati, esibisce un chiaro esempio di figura serpentinata. Lo stesso si può dire del suo Mercurio, dalla figura leggera che slancia nello spazio con una linea curveggiante, conservato al Museo Nazionale del Bargello. Il Perseo mostra, invece, l’incredibile precisione e attenzione ai particolari di Benvenuto Cellini che, per la sua attività di orafo, si trovava a suo agio a lavorare il bronzo. Cellini ha la particolarità di essere stato una delle prime personalità italiane del passato a lasciarci un’autobiografia, divenuta ben presto un modello per tutti gli autobiografi successivi. Nella sua Vita, l’autore narra, con toni apocalittici, la fusione a cera persa del Perseo in un famoso brano rimasto un classico nella storia della scultura. La raffinata statua impostata sul chiasmo (braccio sinistro e gamba destra portanti, braccio destro e gamba sinistra a riposo) con l’eroe che esibisce fiero la testa mozzata di Medusa è indimenticabile per la straordinaria eleganza delle forme e la definizione accurata dei dettagli ornamentali. Altre opere confermano l’incredibile capacità di Cellini nel definire anche i dettagli minimi come l’incredibile Saliera di Francesco I del Kunsthistorisches Museum di Vienna, opera di dimensioni assai ridotte (cm 31,2 X 33,5) nella quale realizza due perfette statuette del Mare e della Terra. A Firenze di Benvenuto Cellini si può ammirare anche il Busto di Cosimo I presso il Museo Nazionale del Bargello.

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