URBINO. UN GIOIELLO URBANISTICO RACCHIUSO NEL PALAZZO DUCALE.
1 Aprile 2020
Urbino, definita dal Castiglione ‘città in forma di palazzo’, mostra nel Palazzo Ducale uno scrigno pieno di preziose meraviglie.
di Fabio Massimo Penna
Il viaggiatore che arriva a Urbino, città che si inerpica tra due colli, resta incantato di fronte allo splendore della facciata dei torricini di Palazzo Ducale. L’imponente edificio voluto da Federico da Montefeltro domina l’agglomerato urbano tanto che Urbino meritava la definizione di “città a forma di palazzo” coniata dallo scrittore Baldassarre Castiglione. La progettazione del palazzo è dovuta a due dei più grandi architetti rinascimentali: il dalmata Luciano Laurana e il senese Francesco di Giorgio Martini. A Laurana vengono attribuiti la facciata dei torricini, lo scalone d’onore, la biblioteca, la sala delle udienze mentre al Martini è da riferire la zona della struttura che affaccia verso la città con la rampa elicoidale, il giardino pensile, le scuderie e le stalle dei sotterranei, il bagno del duca. Come detto sopra, ciò che colpisce immediatamente il visitatore è la facciata dei torricini che affaccia a strapiombo sulla vallata. Incorniciata da due torri gemelle cilindriche cuspidate, la facciata è adornata da una successione verticale di logge che rimandano al modello di arco di trionfo romano ed esaltano il verticalismo gotico della costruzione. Nucleo centrale della struttura è l’esteso e luminoso cortile d’onore che presenta, al piano inferiore, un porticato di archi a tutto sesto e nella zona superiore un’alternanza di finestre e lesene che dona all’insieme un’apparenza classicheggiante. Francesco di Giorgio Martini, con grande acume urbanistico, inventa un collegamento tra il palazzo e lo spiazzo del mercatale, zona dedicata alle attività commerciali, attraverso il complesso della Data con le scuderie ducali, nelle quali si entrava con la imponente rampa elicoidale che permetteva a carrozze e cavalli di raggiungere il palazzo e le stalle. All’interno un gioiello prospettico è lo studiolo di Federico da Montefeltro con le sue pareti ricoperte nella parte inferiore da raffinate tarsie lignee, ascrivibili alla bottega dell’architetto fiorentino Baccio Pontelli, che simulano con la tecnica trompe-l’oeil degli armadi aperti, mentre la parte superiore è decorata con un fregio con ventotto ritratti, attribuibili alle mani di Giusto di Gand e di Pedro Berruguete, sormontato da un soffitto a cassettoni. Le tarsie lignee con un abile impiego della prospettiva creano un sorprendente gioco di scambi tra finzione e realtà. Purtroppo, dei ventotto ritratti di uomini illustri ne sono giunti fino a noi solo la metà dopo che gli affreschi sono stati staccati e portati via nel Seicento.
Il passaggio di Piero Della Francesca presso la corte di Federico da Montefeltro ha lasciato tracce importanti. La Galleria Nazionale delle Marche di Urbino conserva suoi inestimabili capolavori quali La flagellazione (1450-1460) e la Madonna di Senigallia (1470). La prima opera dimostra una padronanza assoluta da parte del pittore delle regole prospettiche (ricordiamo che Piero è autore del trattato De perspectiva pingendi). La tavola è ripartita in due sezioni, una all’aperto e l’altra connotata da uno spazio architettonico scorciato prospetticamente. All’interno dello spazio definito da un loggiato corinzio si svolge la scena della flagellazione di Cristo mentre all’esterno sono raffigurati tre misteriosi uomini intenti a parlare. L’interpretazione più accreditata è quella che vuole che la più giovane delle figure rappresenti Oddantonio da Montefeltro, fratellastro di Federico, ucciso in una congiura. La Madonna di Senigallia certifica l’incontro di Piero con l’arte fiamminga: l’importanza della luce si coniuga alla razionalità e al nitore compositivo tipici dell’artista di Borgo Sansepolcro. Il gruppo della Vergine con il Bambino tra due angeli si inserisce con naturalezza in un limpido vano che, su ispirazione degli usi fiamminghi, affaccia su un’altra stanza bagnata dalla luce del sole che filtra dalle finestre creando un gioco di luci e ombre. Bisogna ricordare che, per quanto abbia dato i natali al più grande pittore della storia dell’arte, Raffaello Sanzio, Urbino possegga ben pochi ricordi del suo figlio più illustre. La città conserva, però, i capolavori di un altro grande urbinate, Federico Fiori, detto Federico Barocci, che trascorre gran parte della sua esistenza nel luogo natio. A una grande padronanza del disegno Barocci affianca una stesura pittorica luminosamente vaporosa, un colore di una lucentezza sfavillante e morbida. Nella Galleria Nazionale delle Marche si possono ammirare Madonna con il Bambino, i santi Simone e Taddeo, detta Madonna di San Simone (1567 ca.) e le Stimmate di San Francesco (1594-1595).