ADDIO ALLE ARMI. HEMINGWAY E MILANO
25 Aprile 2020
In Italia durante la prima guerra mondiale lo scrittore statunitense trascorre un periodo di convalescenza a Milano e si innamora della città.
di Fabio Massimo Penna
“Arrivati in fondo alla piazza ci voltammo a guardare il Duomo, era bellissimo nella nebbia…” nel romanzo Addio alle armi Ernest Hemingway dedica un omaggio alla città di Milano. Lo scrittore statunitense è in Italia con il compito di conducente delle ambulanze della Croce Rossa americana e, ferito a una gamba, viene ricoverato in un ospedale di Milano, città nella quale trascorre un periodo di convalescenza. Addio alle armi narra la storia d’amore tra un volontario americano e un’infermiera inglese con i due innamorati che trascorrono un periodo a Milano, dove l’uomo è stato ricoverato in ospedale per una ferita. In seguito Hemingway tornerà varie volte nella città lombarda, da lui molto amata. Amore per Milano che condividiamo e quindi vi proponiamo una visita ad alcuni affascinanti luoghi della città.
Un momento decisivo per l’architettura della città meneghina è il passaggio di Donato Bramante a Milano. Qui il genio di Monte Asdruvaldo realizza sia un intervento sulla preesistente chiesa di Santa Maria delle Grazie, edificando la tribuna, che la costruzione della piccola chiesa di Santa Maria presso San Satiro. Nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, opera di Giuniforte Solari, Bramante inserisce uno spazio cubico con cupola emisferica e due imponenti absidi laterali alle quali se ne aggiunge una terza sul fondo. L’esterno dell’edificio mostra un armonioso coordinamento dei volumi nell’incastro perfetto delle tribune semicircolari delle absidi e quelle poligonali della cupola. La chiesa di Santa Maria presso San Satiro è, invece, impreziosita dallo straordinario effetto trompe-l’oeil generato dalla creazione di un finto ambiente, un coro che grazie a un gioco prospettico sembra estremamente ampio ma è in realtà profondo meno di un metro. Bramante a Milano non è solo questo. Nella Pinacoteca di Brera si può ammirare, infatti, la sua straordinaria tavola con il Cristo alla colonna con la figura di Gesù dolente che sporge dal dipinto inquadrata in primo piano, con un corpo potente che acquista volumetria grazie al chiaroscuro che modella un busto di perfezione classica.
Il visitatore che entra nel refettorio di Santa Maria delle Grazie rimane colpito dall’effetto trompe-l’oeil de L’ultima cena di Leonardo da Vinci: la fuga prospettica dell’architettura dell’affresco riprende quella reale dell’ambiente dando l’impressione che la sala prosegua nel dipinto. Non è questa la sola caratteristica originale del capolavoro leonardesco. L’iconografia tradizionale prevedeva la raffigurazione del momento della consacrazione del pane e del vino e Giuda sedeva dal lato opposto rispetto agli altri. Leonardo è, però, un artista da sempre interessato a esprimere i moti dell’animo e sceglie di rappresentare il momento successivo alla frase di Gesù: “in verità vi dico che oggi stesso uno di voi mi tradirà”. Queste parole causano la reazione scomposta e sconvolta degli apostoli: chi alza l’indice come a dire “uno, Signore, uno solo?”, chi si porta le mani al petto significando “Io? Come potrei essere io?”, chi allarga le braccia in segno di costernazione… Questa agitazione genera un movimento ondulatorio che percorre, partendo da sinistra verso destra per poi rifluire indietro, le figure degli apostoli divise in gruppi di tre. Al centro immobile Gesù non viene coinvolto da questo moto: Egli è solo, abbandonato dai suoi discepoli al suo destino di dolore. Assai rovinata dal tempo, l’opera è stata restituita all’originale splendore da un lungo e paziente lavoro di restauro. Data la sua lentezza esecutiva, Leonardo non si trovava a suo agio con la tecnica dell’affresco che obbligava l’artista a stabilire al mattino la porzione di affresco da portare a termine entro la fine della giornata poiché quando l’intonaco si seccava non riusciva più a trattenere i colori. Per ovviare all’inconveniente l’artista sperimentava una tecnica innovativa (con l’olio che interveniva su di una preparazione a gesso) che causò, quasi da subito, il deterioramento dell’opera.
Altro grande architetto che opera a Milano è il fiorentino Antonio Averulino, detto il Filarete. Filarete realizza l’Ospedale Maggiore, edificio che si è imposto come modello assoluto di architettura civile nel corso dei secoli. Impostata come un immenso quadrilatero che include un cortile porticato e due corpi a pianta quadrata, la costruzione mostra una grande attenzione alla praticità dovuta a una perfetta ripartizione planimetrica. La facciata è una geniale fusione tra innovazioni rinascimentali e spunti tardogotici (come dimostra l’alternanza di archi a tutto sesto e a sesto acuto).
Nella Cappella Portinari all’interno della Basilica di Sant’Eustorgio, il pittore bresciano Vincenzo Foppa dimostra una perfetta assimilazione delle teorie rinascimentali. In particolare nell’arco a tutto sesto dipinto nell’affresco Il miracolo del piede risanato l’artista palesa una profonda conoscenza delle regole prospettiche con il punto di fuga dell’opera che cade al di fuori del dipinto creando un’immagine perfettamente scorciata. Nell’edificio religioso Foppa dipinge quattro dottori della Chiesa dentro tondi inseriti nei pennacchi e quattro storie di San Pietro martire.