FERRARA. L’ARTE NELLA CITTÀ ESTENSE DA COSMЀ TURA A DE PISIS
22 Maggio 2020
Biagio Rossetti e Cosmè Tura, Dosso Dossi e Boldini, Del Cossa e De Pisis: il contributo di Ferrara all’arte mondiale è stato sempre elevato.
di Fabio Massimo Penna
Nel Quattrocento Ferrara gode di un momento di grande vitalità architettonica e artistica tanto che, se da una parte Ercole I chiede a Biagio Rossetti di progettare un ampliamento della città (la famosa ‘addizione erculea’), dall’altro per la pittura si può parlare di un Rinascimento ferrarese, con tre grandi artisti quali Cosmè Tura, Francesco Del Cossa ed Ercole De’ Roberti. Coniugando l’esigenza di espansione cittadina alla tradizione locale, Rossetti “interrò infatti il fossato della Giudecca, trasformandolo in una larga strada-cerniera dove innestare, in asse con gli sbocchi viari della maglia antica, le nuove strade regolari: egli riuscì in tal modo a esaltare l’organica continuità tra il nucleo antico e l’Addizione” (Pierluigi De Vecchi – Elda Cerchiari, Arte nel tempo – dal tardogotico al Rococò, Gruppo editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas Spa, Milano, 1991-92). L’ispirazione è legata alla tradizione delle strutture urbanistiche romane fondate sull’ incrociarsi ad angolo retto di due lunghi viali. La fama del Rossetti è, però, legata in maniera particolare a Palazzo dei Diamanti, opera in cui l’architetto ferrarese può esprimere tutte le sue qualità artistiche nello spettacolare rivestimento a bugne a forma di diamante dell’edificio.
Nel colto ambiente della corte ferrarese nasce e si sviluppa una versione tutta emiliana del Rinascimento che ha il suo centro propulsore nella cosiddetta “officina ferrarese” formata da Tura, Del Cossa e De’ Roberti. La loro arte, perfettamente al passo con le regole prospettiche rinascimentali, si caratterizza per una predilezione per i volti espressionisticamente stravolti, i profili aguzzi, la natura petrosa e stalagmitica. Esemplari in tal senso sono San Giorgio e il drago di Cosmé Tura, sportello dell’organo del Duomo di Ferrara, con il muso del cavallo contorto in un’espressione sconvolta e gli occhi allucinati e la Pietà, sempre del Tura, del veneziano museo civico Correr, con il corpo di Gesù ossuto e spigoloso e un paesaggio arido e pietrificato sullo sfondo. Personalità fondamentale per la nascita del Rinascimento ferrarese, Cosmè Tura visse tutta la sua carriera artistica all’ombra della corte estense legando il suo nome indissolubilmente a Ferrara. L’artista innerva il proprio lavoro di una tormentata tensione convulsa che indurisce la linea disegnativa dei contorni rendendola pungente e affilata e stravolge le espressioni dei volti. Dalla Musa Erato della National Gallery, raggelata nei suoi colori brillanti e smaltati e contornata da fantasiosi e stravaganti elementi decorativi, alle agitate figure di San Giorgio e il drago del ferrarese museo della Cattedrale alla Pala Roverella (le cui parti sono dislocate in vari musei del mondo), connotata dalla fantasiosa agitazione delle forme, alla spigolosa e pietrificata Pietà del museo Correr, l’artista innesta i suoi caratteristici stilemi su un impianto compositivo rinascimentale.
Francesco Del Cossa si svincola dalle scelte stilistiche di Tura addolcendo l’asprezza della pittura ferrarese pur mantenendo una certa spigolosità come, ad esempio, nell’ossuto e aguzzo San Giovanni Battista della Pinacoteca di Brera. L’Annunciazione della Gemalde Galerie di Dresda si caratterizza per la perfetta impaginazione prospettica inquadrata da imponenti e splendide architetture nelle quali si inseriscono armoniosamente figure composte e solenni dalla pacata gestualità. Ercole De’ Roberti esibisce una chiara consonanza stilistica con Cosmè Tura come mostra la Pietà della Walker Art Gallery di Liverpool in cui l’asciutto corpo di Gesù e la natura arida rinviano l’omonimo capolavoro del caposcuola dell’officina ferrarese. Le Storie di san Vincenzo Ferrer (alcune tavole sono conservate presso la Pinacoteca Vaticana) confermano questa propensione con panneggi metallici e paesaggi fiabeschi mentre la Pala Portuense della Pinacoteca di Brera si caratterizza per una maggior compattezza compositiva e una notevole armonia classica.
Il massimo capolavoro del Rinascimento ferrarese è il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia, ambiente affrescato da un gruppo di pittori (tra i quali spiccano Francesco del Cossa ed Ercole De’Roberti) sotto la guida di Cosmè Tura. Il programma iconografico viene stabilito dall’esperto di astrologia Pellegrino Prisciani. Ogni mese è diviso in tre fasce orizzontali che sono dall’alto verso il basso: il trionfo del dio del mese, il segno zodiacale con i decani e le attività della corte estense. Nel dettaglio sono attribuiti a Francesco Del Cossa i mesi di marzo e aprile e a Ercole De’ Roberti il mese di settembre. Bisogna sottolineare che durante i lavori non tutto dovette andare a meraviglia se Francesco Del Cossa sentì la necessità di scrivere a Borso d’Este: “Et masime considerando che io che pur ho incomenciato ad avere un pocho di nome, fusse tratato et judicato ed apparagonato al più tristo garzone de Ferara” (L’opera completa di Cosmè Tura e i pittori ferraresi del suo tempo, Rizzoli editore, Milano, 1974). Insomma il Cossa si sentiva trattato come l’ultimo dei garzoni di bottega. Il ciclo dei mesi è uno dei massimi capolavori dell’arte quattrocentesca e offre al riguardante l’occasione per confrontare la grande sapienza prospettica e il naturalismo esplicato in figure ben proporzionate nei volumi del Cossa e l’eccitazione febbrile ed espressionistica dell’opera di De’ Roberti. Una curiosità, infine. Con l’espressione ‘schifanoia’ si intende un luogo di svago in cui si può evitare la noia.
A fine Quattrocento la corte estense può godere della dimensione favolistica della pittura di Dosso Dossi. L’artista si ispira al mito e alla letteratura e realizza opere stupefacenti quali Giove che dipinge farfalle del Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Maga Melissa della romana Galleria Borghese, figura derivata dall’ Orlando Furioso, con l’incredibile cane dal muso umano e La partenza degli argonauti della National Gallery of Art di Washington. Anche nell’Ottocento il contributo artistico di Ferrara è grande. Nel 1842 nasce nella città estense Giovanni Boldini, uno dei ‘tre italiani a Parigi’ insieme a Giuseppe De Nittis e Federico Zandomeneghi. I suoi ritratti di gentildonne dell’alta società definiti dalla sua pennellata rapida e vivace, che accenna a silhouettes esili e allungate, lo impone come cantore della vita parigina. La pennellata veloce affonda le sue radici nel periodo giovanile macchiaiolo quando nella villa di Diego Martelli a Castiglioncello entrava in contatto con Giuseppe Abbati e Giovanni Fattori. A Parigi abbandona la pittura di macchia in favore di un’avvolgente verve che fascia con scoppiettanti spruzzate di colore le donne del bel mondo internazionale. Indimenticabili sono le sue opere Pastello bianco (ritratto di Emiliana Concha de Ossa) e il Ritratto della marchesa Casati con penne di pavone della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Nel Novecento un altro geniale ferrarese si impone nell’arte, Filippo De Pisis. De Pisis declina una sensibilità di tipo impressionista in paesaggi connotati da una pittura sfatta, a tocchi rapidi di colore, che catturano la spontanea immediatezza della percezione. Campo privilegiato per esplicare la sua furia inventiva sono i ritratti, le nature morte e i paesaggi.