Itinerari dal mondo

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FIRENZE. MICHELANGELO E LE MADONNE DEL DIVIN RAFFAELLO

Il Cinquecento vede Firenze accogliere quello che molti considerano il più grande pittore di sempre, Raffaello Sanzio. Michelangelo, intanto, lascia nella città tracce della sua grandezza.

di Fabio Massimo Penna

Negli anni che vanno dal 1504 al 1508 Firenze ospita il divino. Divino inteso come divin pittore, genio dotato della divin misura, in poche parole Raffaello Sanzio. L’urbinate, dopo il periodo di formazione prima presso il padre Giovanni Santi e in seguito con il Perugino, giunge a Firenze forte del successo ottenuto dalla tavola con Lo sposalizio della Vergine. L’artista era stato, probabilmente, raggiunto da informazioni circa la leonardesca Battaglia di Anghiari e la Battaglia di Cascina di Michelangelo e attratto dalla possibilità di studiare dal vivo tali capolavori si era recato a Firenze. L’influenza dei giganti del Rinascimento è grande ma Raffaello riesce a mantenere sempre una sua cifra stilistica personale segnata dall’inarrivabile dolcezza delle figure dipinte. Per rendersi conto della grazia che permea i suoi volti basta osservare alcune delle sue splendide Madonne. La Madonna del Granduca (Palazzo Pitti, Galleria Palatina) vede il gruppo piramidale della Vergine con il Bambino emergere dal buio con “i contorni ammorbiditi dall’ombra, le forme coordinate reciprocamente, i volti, particolarmente quello di Maria, totalmente idealizzati, partendo dalla realtà quotidiana.” (Piero Adorno, L’arte italiana – Il rinascimento e il barocco, Casa Editrice G. D’Anna, Firenze, 1986). La Madonna del cardellino (Galleria degli Uffizi) immerge il gruppo della Vergine col Bambino e san Giovannino in un paesaggio definito da uno sfumato di ascendenza leonardesca. I due bimbi accarezzano un delicato cardellino mentre la Madonna tiene in mano un libro che simboleggia il suo ruolo di portatrice della sapienza divina. L’opera è resa indimenticabile dall’armonioso “ductus” della linea di contorno e l’equilibrio della composizione. Eccezionale nella sua originalità è la Madonna della seggiola (Palazzo Pitti, Galleria Palatina) impostata su di una visione a grandangolo con le figure in primo piano compresse nel ridotto spazio di una tavola rotonda. La dolcezza dei volti della Vergine e del Bambino paffutello che si sfiorano teneramente e l’elegante accordo dei colori donano al dipinto una grazia inarrivabile.

Mentre Leonardo dopo un lungo soggiorno milanese si appresta a concludere la sua esistenza in Francia, Michelangelo nel 1516 rientra a Firenze per realizzare l’impresa, che per una serie di regioni non potrà portare a termine, di realizzare la facciata della chiesa di San Lorenzo. Nonostante questo insuccesso il lungo soggiorno fiorentino vede l’artista di Caprese eseguire alcune opere immortali come le tombe medicee nella sagrestia nuova in san Lorenzo con i sepolcri dei duchi Giuliano di Nemours e Lorenzo di Urbino. Le due statue esibiscono le virtù degli effigiati, fierezza e audacia Giuliano, cautela e riflessione Lorenzo. Sopra le tombe dei duchi poggiano le figure sdraiate del Giorno e la Notte (quella di Giuliano) e l’ Aurora e il Crepuscolo (quella di Lorenzo). Si tratta di figure dalla muscolatura possente che si stendono languidamente sui coperchi dei sepolcri come attraversate da una dolorosa inerzia, simboli dell’ammonimento a ricordare il potere distruttivo del tempo. Accanto alla chiesa di San Lorenzo Michelangelo progetta la biblioteca Laurenziana, struttura atta a conservare l’imponente raccolta di libri appartenenti a casa Medici. La sala di lettura, distaccandosi dalla tradizione quattrocentesca, è realizzata in un’unica sala longitudinale rettangolare, costeggiata da due file di banchi con pareti definite dall’alternanza di paraste e finestre in pietra serena. Di notevole impatto visivo è l’atrio dallo sviluppo verticale dominato dall’ imponente scalinata in pietra serena tripartita, con la parte centrale con le alzate curve che sembra mossa da un movimento ascendente e fluido dall’alto verso il basso. Altro lascito importante di questo periodo fiorentino è la statua del Genio della Vittoria (Palazzo Vecchio) che con la sua torsione se da una parte richiama la scultura antica, rinviando al violento movimento delle statue di Skopas, dall’altra annuncia la figura “serpentinata” (allungata come la fiamma del fuoco) tipica del manierismo.

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