Itinerari dal mondo

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PARIGI. IL RAPPORTO PRIVILEGIATO TRA LA FRANCIA E LEONARDO

Leonardo da Vinci trascorre i suoi ultimi anni di vita in Francia, dove viene accolto con tutti gli onori e trattato come un re.

di Fabio Massimo Penna

Un rapporto privilegiato, quello tra l’italiano Leonardo da Vinci e la Francia. L’artista e inventore toscano, dopo un poco fortunato soggiorno romano, nel 1526 riceve l’invito di Francesco I a trasferirsi alla corte di Francia e l’anno dopo, al termine di un lungo periodo di riflessione, si reca oltralpe dove il re gli mette a disposizione, mostrando un grande rispetto per l’anziano artista, il castello di Cloux. La residenza ha tutte le caratteristiche per soddisfare le esigenze del genio di Vinci non ultima quella di essere situata non lontano dal palazzo reale di Amboise. Francesco I instaura un rapporto stretto e amichevole con Leonardo al quale offre anche una grande libertà. Nel suo testo su Leonardo, Carlo Vecce riporta ciò che Benvenuto Cellini, anche lui in Francia chiamato a lavorare a Fontainebleau, sostiene il monarca francese dicesse dell’artista: “Io non voglio mancare le parole, che io sentii dire al re di lui, le quali disse a me presente il cardinal Ferrara e il cardinal di Lorena e il re di Navarra; disse che non credeva mai che altro uomo fosse nato al mondo, che sapessi quanto Leonardo, non tanto di scultura, pittura e architettura, quanto che egli era un grandissimo filosofo” (in Carlo Vecce, Leonardo, Salerno editrice. Roma, 1998). A Cloux l’artista toscano trova anche la serenità per dedicarsi ai suoi studi, al progetto di un canale di irrigazione e all’organizzazione delle feste più importanti. Quando il 2 maggio 1519 Leonardo muore Francesco I si trova a Saint Germain-en-Lye ma sembra che la notizia lo gettasse nella più nera disperazione. Ad Amboise avviene l’inumazione di uno dei massimi geni della storia.

La stretta relazione tra l’artista italiano e la Francia è confermata dal fatto che due dei massimi capolavori leonardeschi sono conservati a Parigi al Louvre. Non solo La Gioconda, forse il ritratto più famoso al mondo, ma anche la migliore versione (rispetto a quella decisamente inferiore della londinese National Gallery) de La Vergine delle rocce. Molto è stato scritto sul misterioso sorriso che campeggia sul volto della Monna Lisa tanto che si è arrivati a supporre che l’ambigua espressione sia stata ottenuta sovrapponendo due diversi sorrisi. L’opera è uno straordinario esempio dello “sfumato” leonardesco. La tecnica nasceva dalla constatazione dell’artista che nell’aria esiste una sorta di pulviscolo che rende il paesaggio lontano indistinto, come circonfuso da una nebbiolina, insomma un’immagine sfumata. In questa atmosfera nebulosa è immerso con grande naturalezza il ritratto della moglie di Francesco del Giocondo in una coesione perfetta tra figura, atmosfera e paesaggio. L’immagine tagliata all’altezza del gomito fornirà un modello per tanti pittori che verranno dopo di lui. Sembra che l’artista amasse tanto il quadro da custodirlo gelosamente con sé portandoselo dietro nei vari spostamenti da Milano a Roma a Cloux.

 La Vergine delle rocce è la prima importante commissione che Leonardo riceve a Milano. L’opera, però, è legata anche a una lunga vicenda giudiziaria perché l’artista e i suoi aiuti, i due fratelli pittori De Predis, ritenevano che i committenti, i preti della Confraternita in San Francesco Grande, avessero dato una valutazione molto bassa, quasi offensiva, alla tavola. La lunga controversia vede alla fine alcuni periti giudicare l’opera incompiuta e dietro conguaglio di duecento lire gli artisti sono chiamati a completare il dipinto nel giro di due anni. Leonardo ottiene anche il permesso di copiare l’opera e realizzare così una seconda versione. Sia come sia l’opera è un capolavoro assoluto. Il gruppo piramidale formato dalla Madonna, il Bambino, San Giovannino e un angelo è perfettamente coordinato dall’intrecciarsi di sguardi e di gesti (l’angelo indica San Giovannino che riceve anche un gesto di benedizione da parte di Gesù) ed è immerso in un’atmosfera connotata da uno sfumato che fonde inestricabilmente figure e ambiente. Straordinaria è la resa della buia caverna nella quale sono collocate le figure con una descrizione delle pietre di eccezionale realismo: “la composizione geologica delle rocce, i muschi e le erbe, le acque correnti sono svelati dalla lunga e vibrante luce crepuscolare che penetra dal fondo” (Eleonora Bairati-Anna Finocchi, Arte in Italia – L’Italia nel Rinascimento, Loescher editore, 1984).  L’opera celebra l’incontro tra Giovannino e Gesù e, simbolicamente, attraverso il gesto dell’angelo che indica il Battista, viene ricordato l’alto valore religioso del battesimo.

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