Da Bomarzo alla cascata delle Marmore
di Fabio Massimo Penna
Da un libro scritto in una lingua preziosa e complessa, barocca e piena di complicati effetti retorici ad un parco dominato da bizzarre statue di mostri. Nel testo “Gli incantesimi di Bomarzo” il grande storico dell’arte Maurizio Calvesi analizza il percorso del Sacro Bosco di Bomarzo e il romanzo di Francesco Colonna “Hypnerotomachia Poliphili” (“Battaglia d’amore in sogno di Polifilo”) del 1467.
L’itinerario inizialmente ideato ed edificato del parco seguiva scrupolosamente il tema dell’esperimento letterario allegorico del Colonna. L’opera letteraria, ripartita in due sezioni, racconta un viaggio allegorico e una vicenda amorosa, attraverso il sogno di tale Polifilo il quale, ritrovatosi in una foresta, si incammina in un tragitto iniziatico che gli permettere di raggiungere l’amata Polia. I due innamorati entrano nel palazzo di Venere dove la fanciulla narra ad alcune ninfe la nascita di Treviso e la storia del suo amore per Polifilo. L’ “Hypnerotomachia Poliphili” mostra la straordinaria capacità inventiva dell’autore che crea una lingua geniale e preziosa, un volgare alterato dalla presenza di modelli sintattici e terminologici desunti dal latino. Inoltre il lavoro è percorso da ripetuti rimandi alla musica, all’archeologia e all’arte. Sotto l’esibita simbologia del romanzo lo scrittore descrive l’iniziazione di Polifilo attraverso un percorso morale che progressivamente lo porta allo svelamento di una realtà segreta che gli consente una rinnovata interpretazione del mondo e dell’esistenza. Il romanzo mostra l’amore quattrocentesco per l’ermetismo e l’esoterismo e il nome stesso del protagonista rientra nella dimensione allegorica del testo in quanto significa “colui che ama tante cose”. Il Sacro Bosco di Bomarzo (il termine sacro è da intendersi nell’accezione di magico o stregato), inoltre, rinvia alla tematica del bosco incantato che è tipica dai poemi cavallereschi. Nella “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso vi è la famosa scena in cui Tancredi nella selva magica taglia il ramo di un cipresso e sente dall’albero uscire la voce dell’amata, e defunta, Clorinda, il cui spirito è stato chiuso da Ismeno nella pianta.
Il parco dei mostri fu costruito per volere del signore di Bomarzo, Vicino Orsini, in memoria della moglie Giulia Farnese morta giovane. Secondo la tradizione il Sacro Bosco sarebbe stato realizzato dall’architetto Pirro Ligorio. Tesi meno battute sono quelle che vogliono l’intervento dello scultore e architetto Bartolomeo Ammannati e l’ipotesi recente che tende a vedere dietro il grandioso progetto la mano di Michelangelo Buonarroti che avrebbe affiancato Vicino Orsini nell’ideazione del parco. Torniamo, però, a quello che è quasi certamente l’autore dell’imponente progetto, Pirro Ligorio. L’architetto napoletano aveva una grande cultura in fatto di antiquariato e la sua passione archeologica, rivolta soprattutto alle rovine romane, si era espressa anche nelle forme allegoriche ed ermetiche della casina di Pio IV dei giardini Vaticani. Egli cominciò gli scavi di Villa Adriana a Tivoli e redasse il testo “Libro delle antichità di Roma” (1553). Alla sua mente geniale si deve, inoltre, Villa d’Este a Tivoli con il suo sensazionale giardino all’italiana ricco di ninfei, giochi d’acqua e fontane. A Bomarzo Ligorio libera il suo estro dando vita a un’esaltazione dell’illusione, della meraviglia declinata in una serie di sculture rupestri rappresentanti mostri, esseri giganteschi, orchi, elefanti in una sorta di bosco incantato che celebra la magnificenza manierista. Nel realizzare questo ameno luogo di divertimento e riflessione Ligorio si è rifatto agli umanisti rinascimentali che avevano recuperato la concezione medievale dell’ hortus conclusus, piccolo spazio verde circondato da mura che simboleggiava un’area isolata, lontana dai vizi del mondo. In particolar modo nella seconda parte del Cinquecento grandi architetti si impegnarono nel mettere in ordine le zone di verde spesso adiacenti alle ville da loro progettate. Composti come opere architettoniche tali giardini si fondavano su regole geometriche, con siepi squadrate o lavorate in forme insolite, con statue, fontane (non di rado venivano inseriti sorprendenti giochi d’acqua) e mostravano un incredibile equilibrio tra rigorose norme tecniche e grande libertà estetica. Tra i tanti percorsi di elevato valore scenografico e ornamentale, il Sacro Bosco di Bomarzo si evidenzia per un gusto della meraviglia che anticipa tante idee barocche (il massimo rappresentante italiano della letteratura barocca, Giambattista Marino, affermava che “E’ del poeta il fin la meraviglia”).
Vediamo alcune delle sculture più suggestive e impressionanti del parco. Straordinario per dimensioni e idea di potenza è il gruppo dei Giganti, comunemente identificati in Ercole e Caco. Ercole rappresenta l’ideale virile greco, l’uomo che supera ogni ostacolo grazie al suo coraggio, e assurge a simbolo del bene mentre il predone Caco è espressione del male. Lo scontro tra i due avviene sui colli di Roma con Ercole che alla fine uccide il colosso malvagio. Affascinante è anche la statua della tartaruga con sopra una donna con le ali in mano che richiama direttamente un’incisione dell’ Hypnerotomachia Polyphili e rappresenta il contrasto tra le ali che rinviano all’elevazione spirituale mentre la tartaruga “lenta, oscura, rigonfia simbolizzerebbe allora un movimento involutivo, un regresso verso la incarnazione” (Jean Chevalier-Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Rcs libri, Milano, 1986). Eccezionale è la “casa pendente”, costruzione obliqua edificata su di un masso inclinato, che concretizza fisicamente il disorientamento che le statue dei mostri generano a livello psicologico nel riguardante. Chi entra nell’edificio, infatti, prova un forte senso di vertigine e smarrimento. L’inclinazione della casa rinvierebbe alla scorretta propensione dell’uomo per il vizio. Immagine-simbolo del parco è l’edificio il cui ingresso principale è costituito dalla bocca di un enorme orco. In mezzo a tanta eccentricità si segnala per la sua compostezza e armonia il classico tempio dal quale si ritiene partisse il percorso onirico di Polifilo. A pianta ottagonale con cupola la struttura presenta un avancorpo, un pronao con colonne tuscaniche sormontato da un frontone interrotto da un arco a tutto sesto, preceduto da una bassa scalinata a doppia rampa. Alcuni studiosi hanno voluto vedere nel tempio un’opera del grande architetto cinquecentesco Jacopo Barozzi detto il Vignola ma l’intervento nella costruzione del parco di Bomarzo dell’autore di Villa Farnese a Caprarola, di Villa Giulia e della Chiesa del Gesù a Roma è controversa e ancora incerta.
Spostandosi di pochi chilometri da Bomarzo si può ammirare, nei pressi di Terni, la cascata delle Marmore. Si tratta della rapida più alta d’Europa grazie ai suoi 165 metri di dislivello ripartiti in tre salti. E’ un cascata a flusso controllato dovuta alla volontà di del console romano M. Curio Dentato. L’opera permette, attraverso il canale chiamato Cava Curiana, di far affluire le acque del Velino nel fiume Nera. Nel corso dei secoli molti architetti sono intervenuti a rendere più fluido il getto delle acque erigendo nuovi canali. Tra di essi va ricordato Antonio da Sangallo il giovane , che realizza il canale della Cava Paolina. Alla genialità di Antonio da Sangallo si devono inoltre importanti opere a Roma: il Palazzo Farnese (concluso da Michelangelo) e un progetto per la basilica di San Pietro, abbandonato da Michelangelo chiamato a dirigere i lavori della fabbrica alla morte dell’architetto fiorentino. Alle rapide è collegata una leggenda secondo la quale il pastore Velino, invaghitosi della ninfa Nera che faceva il bagno nelle acque sottostanti e da lei non corrisposto, si sarebbe lanciato da una rupe per unirsi all’amata per l’eternità. Per la città di Terni le cascate hanno un’importanza fondamentale per via della produzione dell’ energia idroelettrica necessaria alle industrie cittadine.